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lunedì 15 febbraio 2010

Deflorazione

Hai i capelli di rame, conduci porzioni di metallo su pavimenti ghiacciati, senza scossa; sei piccina, quanto una tazza di latte, ne condividi il candore, il sapore di miele liquefatto precipita sul fondo; tendo l'orecchio, ho le budella dentro un secchio, me le aggiusteresti?, mi chiedi, non saprei da dove partire, guardo nel secchio, pieno di cavi ad alta tensione. Sconfortata, preghi. Abbandonami lungo uno svincolo autostradale, incatenami ad un cartellone pubblicitario sobrio, incollami un enorme post-it sulla fronte, con una didascalia che mi spieghi: sono un prodotto di scarto dell'intestino suburbano, sono un modellino di catrame, sono le urla di una madre zuppa del sangue di suo figlio, sangue del suo sangue, postumi di un incidente stradale che non riuscirà a dimenticare. Eri più di questo, prima che il volante ti sfondasse lo sterno.

mercoledì 10 febbraio 2010

una strada parallela

Giardini millimetricamente squadrati, separati da staccionate monocromatiche, erba cattiva ai minimi termini, temperature in lieve flessione; flessioni, muscoli stanchi, cervelli in salamoia, tralicci, cavi scintillanti sopra e accanto case colorate, mutui da pagare, tassi oscillanti; altalene, un bambino cade, si sbuccia il ginocchio destro, piange, entra in una casa colorata, la sua.

lunedì 8 febbraio 2010

Volume zero, luci dentro

Me lo diceva sempre, mia nonna, che i luoghi dai cui cerchi di scappare, in qualche modo, ti ritrovano; lì riconosci, sono lì, sotto le rughe degli anni volati. Scelgo uno spazio fra i tanti dell'arcipelago di parcheggi; isola D, posto 23. La struttura del centro è colossale, ogni dettaglio è ingigantito a sfiorare l'epico, a partire dalla scritta luminosa sovrastante. Ciò che si vede oltre la trasparenza dei vetri vagamente scuri: la piccola tragedia di perdere uno sguardo poco prima di averlo tracciato; gesti ripetuti, atti irripetibili, parole inascoltabili che vivono dietro quella barriera vetrosa. Dozzine di persone che si conoscono, seppure per qualche secondo, solo perché hanno inserito la stessa cosa nella lista della spesa. Da fuori la visione è privilegiata, complessiva, ma troppo frastagliata, torbida. Bisogna entrare, anche se la paura di essere risucchiato nello spasmo collettivo mi frena: temo di finire anch'io in vetrina.